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Il pagellone a due giorni dalla fine

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Se è vero che mancano ancora Pappi Corsicato- in molti sperano nel suo ritorno per una zampata da Leone - e Darren Aronofsky con Mickey Rourke e le sue "ragazze" Evan Rachel Wood e Marisa Tomei, si può già stilare un primo pronostico, un totoleone (non solo di film) di questa Mostra discontinua che nella seconda settimana ha avuto un leggero rialzo, soprattutto grazie ai grandi maestri.

9 ½ - Giornate degli Autori
La sezione parallela al suo quinto anno di vita (e al terzo di Fabio Ferzetti come suo delegato generale) conferma la fase ascendente: film applauditi, scoperte preziose, distribuzioni che scommettono su registi e cinematografie emergenti. E ora ci si diverte anche: chiedete alla Banda Osiris. Qui le cose più originali e belle del lido, le Giornate sembrano invincibili come le superzanzare che girano fameliche nel giardino della sua Villa degli Autori. Solo il meglio, vale anche per loro.

9 - Jonathan Demme
Che il nome Rachel in un matrimonio cine-mediatico porti sfortuna ormai è assodato. Era il nome della sfortunata in amore Jennifer Aniston in "Friends", poi moglie tradita (e come!) da Brad Pitt. E "Rachel Getting Married", storia di uno sposalizio tormentato, è forse uno delle più belle opere di mastro Demme, allievo di Roger Corman e genio eclettico. Fiction con stile documentaristico: da vedere. Il nostro leone. La leonessa, invece, è un Anne Hathaway al meglio. Bella, (in)dolente, potente.

8 - Ponyo, la pesciolina rossa, Gilala e i fratelli Coen
Hayao Miyazaki è uno degli dei del pantheon dell'animazione. Tratto inconfondibile, storie indimenticabili, bambini e adulti non possono che adorarlo, nonostante sia considerato d'elite. Vorremmo per Ponyo la pesciolina rossa la Coppa Volpi e un premio speciale alla colonna sonora, che anche critici attempati fischiettano di nascosto. Simpatico, ma più minaccioso, il proto Godzilla di "Monster X strikes back: attack the G8 summit!" Risate e satira di ferocia inaudita. A partire da Sarkozy e i governanti italiani. Per lo stesso motivo applausi ai fratelli Coen. "Burn After Reading" ridicolizza Cia e mondo libero. L'Oscar lo meriterebbero per questa commedia politica solo apparentemente demenziale. Molto bravo Brad Pitt (10)

7 - La terra degli uomini rossi, Alba Rohrwacher e il cinema italiano "altro"
Ha salvato, per ora, gli italiani in concorso. Onesto intellettualmente, un po' ideologico, molto sentito. Marco Bechis e il Sud America hanno un conto aperto da sempre, dai desaparecidos argentini di "Garage Olimpo" e "Hijos" al Brasile degli indios di oggi. Bravo, ma può fare meglio. Fa sempre meglio, invece, Alba Rohrwacher, sontuosa nella mediocre opera di Avati. Ottimi, invece, gli italiani nelle altre sezioni. Su tutti "Pranzo di Ferragosto" (Settimana della critica, 7), "Below Sea Level" e "ThyssenKrupp Blues" (Orizzonti). L'Italia indipendente e impegnata.

6 - Mostra del Cinema
Un anno vissuto pericolosamente vale una risicata sufficienza, media tra il concorso (4 ½), Orizzonti (7) e Fuori Concorso (6). Nuovi selezionatori, l'inizio di un nuovo quadriennio, lo sciopero degli sceneggiatori Usa, forse era davvero difficile fare meglio. Rimandati a settembre, del prossimo anno.

5 - Pupi Avati e il papà di Giovanna
Acclamato da critica e pubblico, il film del prolifico regista bolognese sembra avere i soliti difetti e pregiudizi del suo cinema. Dopo 40 minuti psiconoir di alto livello, il melodramma e la visione della vita (e della donna e della politica) di Pupi prende il sopravvento. Fino a un finale revisionista e scorretto. Bravi gli attori (anche Greggio), buona l'intuizione del soggetto, ma il film dov'è? Forse sui nostri scaffali, nei dvd delle sue ultime opere. Soliti schemi, solito Avati (ma di sicuro qualche premio, forse la Coppa Volpi a Silvio Orlando, lo porterà a casa). Noi preferiamo Bill Irwin, papà di Rachel e di Demme (9).

4 - Teza
Voto provocazione. Il film etiope, Leone d'Oro nei pronostici di molti, è un'opera ambiziosa, mediocre e sconclusionata per molti dei suoi 140 minuti. Incrocio tra "Persepolis" e "La meglio gioventù", saggio dello stile africano (ma di almeno 30 anni fa), vorrebbe essere anarchico e potente e invece risulta superficiale e debole. Manca carisma al protagonista, personalità al regista, forza narrativa a una storia che poteva camminare da sé (un secolo di ingiustizie etiopi). Qui a Venezia vedemmo il bellissimo "Daratt", perché accontentarci di "Teza"? Perché tanto entusiasmo? Forse è la nostra cattiva coscienza, il voler lenire i nostri sensi di colpa occidentali dietro un premio politicamente corretto. Non fatelo: anche al cinema, alla splendida e martoriata Africa piena di risorse serve rispetto, non elemosine.

  CONTINUA ...»

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